Sciando con Sandro
Le stanze dei ricordi - Racconti nefrologici > Livello 11
Tentativo di omicidio ai Monti della Luna
Monti della Luna (Cesana), un inverno della seconda metà degli anni ‘60
Un grosso gruppo di una ventina di amici, tutti studenti in medicina e compagni di corso, si era riunito, per un week-end di divertimento e di sport, nell’alberghetto-rifugio della “Montanina”, che sorgeva a poca distanza da Colle Bercia, dove terminano ancor oggi gli impianti di risalita che portano da Cesana ai Monti della Luna.
Dopo la serata del sabato, dedicata ad una lautissima cena e ad abbondanti libagioni, si continuò a ridere e a scherzare sino a tarda ora, nonostante tutti sapessero che la sveglia dell’indomani sarebbe stata abbastanza precoce, al fine di non sprecare – il tempo era splendido – una bella giornata di sci sotto il sole.
Ricordo ancora molti dei volti: con qualcuno degli allora presenti l’amicizia si è consolidata, qualcun altro lo frequento ancora adesso, sia pur raramente, altri ancora, per un motivo o per l’altro, sono scomparsi dalla mia vita: ricordo Maria Grazia e Massimo, Gabriele, Severino, Sofia… E, naturalmente, c’era tra gli altri anche Sandro A*, che già frequentava come allievo, assieme a me, il Reparto di Nefrologia dell’ospedale Molinette diretto dal professor Vercellone.
Contrariamente alle previsioni (a mezzanotte passata il cielo era tutto stellato), la mattina dopo si presentò con un tempo decisamente brutto: cielo grigio e coperto, freddo intenso, qualche raffica di vento che portava con sé sporadici fiocchi di neve. Ma ci vuol altro per scoraggiare una ventina di giovanotti e di ragazze tra i venti e i venticinque anni: infilammo gli sci – di legno, com’erano tutti allora - e gli scarponi – rigorosamente di cuoio e con i lacci –, afferrammo i bastoncini ed affrontammo il maltempo: nessuno rinunciò alla sciata.
Si dà il caso, tuttavia, che il livello di bravura nello sciare fosse, all’interno del gruppo, assai variegato: si andava dallo sciatore provetto a quello che sciava discretamente, dal principiante sino ad arrivare a chi non aveva mai messo gli sci ai piedi prima di allora. Oltre a questo, c’erano poi le amicizie, le simpatie, gli amoretti nascenti e così via, per cui ben presto il gruppo si disgregò in tanti piccoli manipoli di tre, quattro o anche di due sole persone.
Io, che non ero un gran sciatore ma già me la sfangavo abbastanza, mi ritrovai assieme a Sandro, che era allora un principiante – sapeva fare praticamente solo lo spazzaneve – e, in una giornata grigia e bianca che nascondeva dossi, cunette ed avvallamenti imprevisti, trovava molta difficoltà nel governare gli sci, scegliere la direzione o anche solo nel restare in piedi. Tra l’altro, per ragioni che non ricordo, si era ridotto a sciare con sulle spalle uno zaino gigantesco e pesantissimo che gli rendeva tutto più difficile. Per cui io lo precedevo di una trentina di metri, poi mi fermavo, mi voltavo in su verso di lui che scendeva dopo di me e lo aspettavo, gridandogli, se necessario, qualche consiglio e soprattutto la direzione da prendere.
Verso sera – l’aria cominciava a farsi scura – si dovette scendere verso Cesana, dove la compagnia si sarebbe ritrovata per i saluti accanto alle macchine parcheggiate. Le piste su quel versante, pur non essendo impossibili, non sono neppure facilissime: si sarebbe potuto, per venir giù, prendere la seggiovia, ma, in uno slancio di temerarietà, decidemmo, intrepidi, di sciare sino alla meta.
La cosa si rivelò però più complicata del previsto: io stesso, che avrei dovuto continuare a far da guida, avevo, nell’aria che ingrigiva, i miei problemi a controllare gli sci e a restare in piedi; Sandro, dalla sua parte, mi seguiva praticando uno spazzaneve terrificante, gli sci spalancati all’indietro, cadendo, rialzandosi e poi tornando a cadere di nuovo.
Ad un certo punto, sbucando da una curva, vidi che la pista davanti a me pareva biforcarsi in due diverse direzioni: ma rallentai in tempo, e riuscii così a rendermi conto del fatto che da una parte, alla mia sinistra, la pista continuava dopo un’altra curva, mentre alla mia destra, quella che pareva una diramazione altro non era che l’inizio di un grosso fosso di due o tre metri, pieno di neve fresca.
Pensai: qui devo mettere Sandro in guardia! Perciò, mi fermai in mezzo alla pista, mi girai all’indietro e, quando lo vidi spuntare da dietro alla curva, gli gridai…
Cosa volete che vi dica…
Più volte mi sono domandato, in seguito, perché, per quale ragione al mondo gli gridai di andare a destra invece che a sinistra… Non lo so, la ragione più probabile fu che io mi ero girato indietro, verso di lui, e che la strada giusta, a quel punto, stava alla mia destra…
Per farla breve, Sandro girò alla sua destra e finì diritto nel fosso, fortunatamente senza riportare alcun danno eccetto un bello spavento. Lo ritrovai immerso nella neve sin quasi al collo, e tirarlo fuori di lì non fu cosa facile, né per me né per lui. Ma tutto è bene quel che finisce bene…
C’è tuttavia una piccola postilla, che rischiò di appiccicarmi la fama di spietato attentatore alla vita dei colleghi. Si dà il caso, infatti, che l’intiera storia giungesse, non so come, alle orecchie del Grande Capo che, come sua inveterata abitudine, ne approfittò per una delle sue sardoniche battute:
“Ma a chi la vuole contare, caro Giachino, con la destra e con la sinistra! È evidente che lei pensava alla carriera, e ha cercato di far fuori il concorrente più pericoloso…!”
In definitiva:
“Tentativo di omicidio ai Monti della Luna”
Giuliano Giachino