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Ritorno notturno da Roma, dopo l'idoneità. Destinazione: ignota

Le stanze dei ricordi - Racconti nefrologici > Livello 11



RITORNO NOTTURNO DA ROMA, DOPO L’IDONEITÁ. DESTINAZIONE: IGNOTA



Sul treno Roma-Torino, in una notte di luglio, nella seconda metà degli anni ‘70


Una volta…, tanto tempo fa, c’erano delle cose chiamate “Esami di idoneità”.
Erano degli esami scritti che si tenevano in genere a Roma (ma talvolta anche in altre città), e che era necessario superare per poter ottenere “l’idoneità” a ricoprire un determinato posto di carriera: ad esempio di assistente, di aiuto o di primario. Senza quel certificato, non era possibile presentare domanda di partecipazione ad alcun concorso nell’ambito della sanità pubblica.
Al giorno d’oggi, qualunque medico può giungere a ricoprire quei posti senza aver conseguito alcuna idoneità: basta che appartenga a qualche partito o sia amico di un parente di uno zio di un direttore generale di una qualche A.S.L. I primari, in particolare, vengono oggi - e ormai da molto tempo - scelti direttamente ed insindacabilmente da questi direttori generali.
Se fosse meglio allora od oggi, non saprei e non voglio dire, anche perché - tra l’altro -  sono in pensione ormai da parecchi anni e non sono quindi aggiornato sull’argomento.
Quello che so, tuttavia, è che - allora - sostenere un esame di idoneità voleva dire: alcuni mesi di studio intenso ed in genere notturno, perché di giorno si lavorava; un viaggio sino a Roma con permanenza sul posto per alcuni giorni, a proprie spese; otto ore a disposizione, in un’immensa aula gremita, per svolgere per iscritto tre argomenti sorteggiati al momento tra i 120 pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale; ed infine, dopo uno stress del genere, un rapido ritorno affannoso a Torino, dato che lì c’era il Grande Capo che fremeva in attesa che tu riprendessi l’attività lavorativa. Questa divertente esperienza il sottoscritto l’ha vissuta, nel corso degli anni ’70, addirittura cinque volte: dapprima idoneità ad assistente di nefrologia (a Milano), e poi, tutte a Roma, idoneità ad aiuto di nefrologia, ad aiuto di emodialisi, a primario di nefrologia ed a primario di emodialisi (Dio solo sa - o meglio - lo sappiamo tutti ma non si può dire, per quale misteriosa ragione fosse stata introdotta e codificata questa duplice definizione).
Tuttavia, la cosa positiva era - se non altro - il fatto che, per preparare questi esami, ti toccava studiare: ed alla fine, oltre al fatidico “foglio di carta”, ti ritrovavi come minimo con le tue conoscenze professionali rinfrescate ed aggiornate, cosa che oggi - evidentemente - non è più necessaria e viene lasciata alla sola buona volontà ed al senso etico del singolo individuo.
Gli aneddoti - tutti rigorosamente autentici - che potrei raccontare su questi viaggi nella capitale sono una vagonata: ne scelgo, nella speranza di farvi sorridere, un paio (che chiamerò rispettivamente “antefatto” e “comica finale”) che si riferiscono alla medesima occasione, e cioè ad un’idoneità a primario di nefrologia (o di emodialisi?) che, nella seconda metà degli anni ’70, sostenni assieme a quattro colleghi ed amici, i dottori Sandro A., Giuseppe Paolo S., Gianni M. e Piero S. Ecco qua:

ANTEFATTO

Roma! Siamo finalmente arrivati a Roma, dopo un viaggio allucinante di parecchie ore in treno (siamo negli anni ’70, tenetelo presente) ed in un vagone con il condizionatore fuori uso ed i finestrini sprangati (se c’è l’aria condizionata, naturalmente, non si devono poter aprire i finestrini…).
Adesso siamo in un alberghetto di quarta categoria all’EUR, sono le ore 20 della sera precedente all’esame e nessuno ha ancora cenato.
Busso alla porta della stanza d’albergo ove so che sono riuniti i miei colleghi, mi vene aperto, ed io li trovo tutti quanti - sotto la guida di Sandro - a ripassare febbrilmente, sommersi da pile di fogli dattiloscritti o fotocopiati, le 120 tesi pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale.
Vengo invitato ad unirmi al gruppo. Anarchico come al solito, mi permetto di obiettare che - a quel punto - quel si sa si sa, e insistere nei ripassi senza far cena serve solo a presentasi più stressati e nervosi all’esame del giorno dopo.
Allarme e sgomento generale, da parte di qualcuno addirittura aperta riprovazione. Quasi intimidito ma anche un po’ seccato, riconosco di avere torto, dichiarando tuttavia che avrei sì, ripassato anch’io, ma solo dopo aver cenato, e che comunque, dato che le tesi estratte la mattina dopo sarebbero state tre, avrei ripassato 3 dei 120 argomenti e non uno di più. Poi mi allontano e vado a cenare in trattoria: uno solo di loro mi segue, ma non vi dirò di chi si tratta.
Dovete sapere, a questo punto, che nei mesi precedenti ci eravamo organizzati in questo modo: ciascuno di noi aveva svolto per esteso un quinto delle 120 tesi, passandole poi in fotocopia agli altri quattro: così tutti avevano potuto disporre di un testo conciso e concentrato di ciò su cui occorreva essere preparati.
Rientrato in albergo ripassai anch’io, come avevo promesso (ma dovetti farlo da solo ed in un angolo della stanza, dato che nessuno aveva voluto unirsi al sottoscritto) tre delle tesi, a caso: il tutto sotto lo sguardo critico degli altri, quasi fossi stato uno che si divertiva a giocare d’azzardo con cose così importanti come un’idoneità.
Signori, potete crederci o meno, ma è così: la mattina dopo due degli argomenti estratti erano tra quelli che erano stati a suo tempo scritti dal sottoscritto, ed il terzo era uno dei tre che avevo ripassato la sera prima. Fortuna? Colpo di c…? Chi lo sa? Forse, può anche essere... Ma se la mia fu fortuna, fu - a mio modestissimo parere -  anche una fortuna ampiamente meritata.

COMICA FINALE

Alla comica finale, che si svolse nella notte sul treno che riportava la compagnia a Torino, io non fui presente, dato che avevo deciso di farmi una bella dormita ed avevo prenotato un treno per la mattina successiva. Ma senza dubbio la cosa si svolse proprio come sto per narrarvi, poiché mi è stata riferita da tutti gli altri quattro esattamente nello stesso modo.
Partendo per Torino la sera stessa dell’esame, i nostri - che non avevano prenotato il posto a sedere - dovettero sistemarsi in vagoni diversi, Sandro in uno e gli altri tre in un altro. E Sandro… e Sandro fu l’unico ad arrivare a Torino! Cos’era successo? Cedo la parola ad uno dei tre che si persero per strada:

Stravolti per la stanchezza, per lo stress e per la fame (l’esame era terminato verso sera, e prima di salire sul treno c’era stato solo il tempo per un panino ed una birra) ci buttammo in uno scompartimento e ci addormentammo subito più o meno profondamente. Nel lungo dormiveglia, ebbi la sensazione di veder passare lentamente, una dopo l’altra, le stazioni di Civitavecchia, Livorno, Massa e poi di La Spezia. Ancora più tardi, vidi uno di noi svegliarsi del tutto, alzarsi, guardare fuori dal finestrino, e poi lo sentii dire, con voce angosciata: “Ragazzi, ma qui fuori c’è il mare!”.
La risposta del terzo di noi, semiaddormentato, fu tagliente: “Ma certo, che c’è il mare! Cosa c…o vuoi che ci sia lì fuori?”.
A questo punto, il tapino che aveva lanciato l’allarme si sedette di nuovo e ricominciò a dormire.
Dopo un po’ di tempo, il nostro si svegliò nuovamente, si alzò e, dopo aver guardato ancora fuori dal finestrino, ribadì: “Ragazzi, guardate che qui fuori c’è sempre il mare!”, ma ottenne all’incirca la medesima risposta di prima.
Non è stato chiarito quante volte si ripeté questa stessa scena, ma senza dubbio alcune altre volte, sino al momento in cui il nostro tapino, all’affermazione relativa alla presenza del mare sulla sinistra del convoglio, non aggiunse che - secondo lui - Genova era ormai stata superata da un pezzo, e che il mare non avrebbe più dovuto esserci….

Riprendendo a parlare in prima persona, i nostri eroi fecero appena tempo a buttarsi fuori dal treno prima di sconfinare in Francia: solo Sandro, infatti, era salito su di un vagone diretto a Torino. Loro tre erano invece saliti su di un vagone diretto alla frontiera, che era stato sganciato dal resto del treno alla stazione di Genova…
Il resto del viaggio si svolse via Ventimiglia, Savona - cambio di treno - e poi Torino. I tre giunsero a casa in contemporaneità temporale con il sottoscritto, che era partito all’alba del mattino dopo. Cose che capitano…

                                                                                     Giuliano Giachino


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