I padri nobili della medicina
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I PADRI NOBILI DELLA MEDICINA
La medicina occidentale – quella che da noi viene considerata scientifica ed è ufficialmente praticata – ha due Padri:
Il primo è Asclepio il cui nome, passando dalla mitologia greca a quella latina, verrà trasformato in Esculapio;
Il secondo è Ippocrate.
Asclepio-Esculapio era un dio, figlio di Apollo e di Coronide. La storia, stando almeno a quanto ci viene tramandato dal mito, è piuttosto truculenta. Coronide infatti, quando era ancora gravida di Apollo, si innamorò perdutamente di un comune mortale e il dio, reso furioso dal suo tradimento, fece trafiggere l’infedele dalla propria sorella Artemide con una delle sue frecce infallibili. A questo punto, però, Apollo fu colto da un tardivo pentimento e si diede da fare per salvare almeno il frutto del suo amore, strappandolo dal grembo materno, quando ormai la salma di Coronide si stava consumando nelle fiamme della pira funebre.
Il bambino, al quale, come si è detto, fu dato il nome di Asclepio, venne affidato a Chirone che era il più saggio dei Centauri: un simpatico personaggio collegato al mondo della medicina, essendo egli stesso medico.
Tutti sappiamo che i Centauri erano creature mostruose, con tronco umano dalla cintola in su e, per il resto, corpo di cavallo. Si trattava di individui, nel complesso, poco raccomandabili, perché violenti e brutali. Dante li piazza all’Inferno con funzione di guardiani, nel primo girone del settimo cerchio, là dove sono puniti i violenti contro il prossimo, cioè assassini, tiranni, rapinatori e merce di questo genere. Questi dannati sono immersi in un fiume di sangue bollente, il Flegetonte e, dalla riva, una schiera di centauri armati di frecce li sprofonda nel fiume quando cercano di emergere.
Essi prendono il nome dal capostipite, Centauro, figlio di Issione, re dei Lapiti, iquali popolavano la Tessaglia. Issione aveva crudelmente assassinato il proprio suocero e per questo delitto era inviso a tutti gli dèi, con l’esclusione del loro capo Zeus, o Giove, che, al contrario, lo purificò e lo accolse nell’Olimpo. Ma il lupo perde il pelo… con quel che segue. Giunto nella dimora degli dèi, Issione vide la sposa di Zeus, Era (che è poi la Giunone dei Romani) e subito la concupì senza ritegno. La signora Era, naturalmente, non resistette alla tentazione di andare a riferire il fatto al marito il quale, per accertare la verità, creò con la nebbia un’immagine della moglie e la indirizzò ad Issione. Questi, senza por tempo in mezzo, si scatenò in una pregevole prestazione copulatoria e da questo curioso connubio non poteva che nascere una creatura stravagante, Centauro appunto, per metà uomo e per metà cavallo. Dice il mito che Centauro, divenuto adulto, si accoppiò con le giumente che abitavano sul monte Pelio e diede origine a numerosa progenie.
Chirone rappresenta un’eccezione in questa orda selvaggia e si distingue per saggezza e pacatezza. La sua nascita, infatti, è diversa da quella dei suoi consimili e sicuramente più nobile. Anche in questo caso, però, si tratta di una storia di corna. Filira, figlia di Oceano, sarebbe stata violentata dal dio Crono (il Saturno dei Romani), tra le fresche frasche dell’omonima isoletta. Colto sul fatto dalla gelosa moglie Rea, il dio si trasformò in stallone e, comportandosi da autentico cialtrone, scappò al galoppo. E’ probabile che il trambusto e lo spavento abbiano provocato un rimescolamento del DNA, fatto sta che, com’è come non è, il figlio che nacque da questo fugace rapporto risultò mezzo uomo e mezzo cavallo: un centauro appunto. Filira (come darle torto?) provò un immediato ribrezzo per quella creatura che, oltretutto, deve averle provocato un parto piuttosto laborioso, e chiese agli dèi di essere trasformata in una pianta: fu accontentata e divenne un tiglio (phylira è, appunto, il nome del tiglio in greco antico), pianta dai poteri medicinali spesso collegata a Chirone.
Oltre ad Asclepio, Chirone provvide anche all’educazione di Achille, l’eroe “Piè veloce” della guerra di Troia, e di Ercole, e fu proprio quest’ultimo che, involontariamente, lo ferì ad un ginocchio con una freccia intinta nel sangue di un serpente micidiale: l’Idra di Lerna. Vane furono le cure messe in atto da Ercole sotto la guida dello stesso Chirone: la ferita cronicizzò provocando al centauro dolori così atroci, da fargli desiderare la morte che gli era però negata, essendo egli un semidio e quindi immortale. Tuttavia, alla fine, Chirone, con l’approvazione di Zeus, ottenne di scambiare la propria immortalità con la mortalità di Prometeo. Ma questa è un’altra storia.
Asclepio era un dio e la sua fu quindi una medicina religiosa, praticata da sacerdoti nei templi a lui dedicati, detti asclepiei, con un rituale complesso. I portici antistanti i templi fungevano da luogo di degenza, nei quali i malati, desiderosi di guarire, passavano la notte immersi nel sonno incubatorio durante il quale il dio compariva in sogno e dettava i suoi precetti. Anzi, il più delle volte al risveglio erano miracolosamente guariti.
Le numerose guarigioni ottenute da questo santone, gli diedero una grande notorietà ma, come accade spesso anche ai medici, il successo gli diede alla testa. Zeus si infuriò terribilmente e lo fulminò con una delle sue folgori, quando si permise di risuscitare il giovane Ippolito, figliastro di Fedra, vittima innocente di una storia molto sordida.
A questo punto fu papà Apollo che, su nell’Olimpo, scatenò un putiferio e, alla fine, suo figlio Asclepio venne resuscitato e diventò immortale.
Ippocrate, considerato a ragione padre della medicina laica, è invece un personaggio realmente esistito. Visse all’incirca dal 460 al 373 avanti Cristo ed operò ad Atene, all’epoca di Pericle. A differenza dei sacerdoti di Asclepio, egli praticava la sua “arte” in una bottega artigianale vicino al mercato o al porto e non in un tempio situato sull’acropoli. La novità introdotta da Ippocrate è stata quella di de-sacralizzare la malattia. Infatti, mentre i seguaci di Asclepio pensavano che la malattia fosse qualcosa di soprannaturale, conseguenza della collera divina per qualche manchevolezza commessa dai mortali, per Ippocrate la malattia era un evento naturale che aveva cause razionali. Questo principio, assolutamente rivoluzionario per quell’epoca, ispira da allora la medicina occidentale che, per questi motivi è definita tecnica, dal greco Téchne, un’attività che si svolge tra l’intellettualità del conoscere e la manualità del fare e si distingue pertanto dalla medicina sapienzale di Asclepio.
Queste due medicine sono convissute per secoli e convivono tuttora, più o meno pacificamente. Le guarigioni miracolose riportate dai Vangeli e dagli Atti degli Apostoli non rientrano certamente nel filone ippocratico. I Santi Medici Cosma e Damiano che, secondo la leggenda, eseguirono il trapianto di una gamba, seguivano i metodi di Asclepio. Addirittura gli esorcismi rituali e le guarigioni miracolose che si verificano nei numerosi santuari distribuiti per il mondo si possono collocare in questo filone.
A differenza della medicina religiosa che è rimasta praticamente immodificata nel tempo, la medicina ippocratica ha subìto una costante evoluzione. Inizialmente essa considerava l’uomo malato inscindibile dall’ambiente fisico e sociale che lo circonda ma, a partire dal Rinascimento, il suo campo d’interesse si restringe al corpo del malato: è questo, isolato da tutto ciò che lo circonda, che diventa oggetto di studio e di cura.
La medicina ippocratica attraversa la rivoluzione scientifica operata da Galileo e si illumina ad opera delle scoperte iniziate da Pasteur. Infine, dai primi decenni del secolo XX, la tecnologia irrompe in campo medico, fornendo agli operatori sanitari strumenti sempre più raffinati.
Forte di questi successi, la medicina occidentale acquisisce uno straordinario potere e si pone come l’unica autorizzata ad avere certezze. Essa comincia ad allargare i propri confini impossessandosi non solo delle malattie, ma di tutti gli eventi significativi della vita umana: il nascere e il morire, soprattutto, ma anche l’attività fisica, lo sport, il sesso, la guerra, il tempo libero, l’alimentazione, le colture agricole, l’allevamento del bestiame, il genoma che codifica la biosfera terrestre e altro ancora. Ha avuto inizio, insomma, un processo generalizzato di medicalizzazione della società, un processo, cioè, che trasforma ogni atto significativo della vita umana in un atto medico.
Se questo sia un bene, saranno i posteri a giudicare.
Per quanto mi riguarda, giunto al capolinea del mio percorso professionale, assisto sgomento al passaggio nell’era postmoderna della disciplina che ho professato ed amato. Senza eccessivi rimpianti, mi fermo sul ciglio erboso del sentiero della storia (quella con la esse minuscola) e mi siedo su una delle panchine virtuali riservate ai vecchi pensionati, diventati ormai elementi decorativi superflui e, spesso, fastidiosi.
Se oggi dovessi scegliere una figurazione simbolica che abbia la funzione di padre della medicina postmoderna, escluderei sia Asclepio che Ippocrate, ed eleggerei invece Chirone il centauro, che è, tra l’altro, un essere geneticamente modificato, circostanza che gli dà un ulteriore tocco di post-modernità.
Quali i motivi di tale scelta?
· 1. Chirone è un terapeuta che non trascura la spinta ad allargare le proprie conoscenze, ma privilegia l’imperativo deontologico dell’agire.
· 2. Chirone è vulnerabile e conosce le malattie anche per averle sperimentate sulla propria pelle.
· 3. Chirone è inguaribile dunque ha coscienza dei limiti della natura umana e sa che non da ogni male si può guarire.
· E quand'anche egli, come medico, riuscisse a guarire tutti i mali, non potrebbe mai guarire il male in sé, quello della
· corporeità, che è la fonte della corruzione e delle malattie.
· 4. Chirone non accetta supinamente la propria malattia, ma ne discute con Zeus (cioè con Dio) e rivendica il diritto di negoziare
· il trattamento terapeutico, proponendosi quindi come paladino dell’autonomia del paziente.
· 5. Infine Chirone introduce in medicina, per la prima volta, le tematiche dell’accanimento terapeutico e dell’eutanasia.
Pier Luigi Cavalli